La tradizione vinicola
sulla nostra isola affonda le proprie radici in periodi storici davvero
risalenti. Nel corso del tempo ci sono state persone, o addirittura intere
famiglie, che hanno dedicato e continuano a impiegare il proprio tempo e tanta
fatica per portare avanti un progetto che consenta loro di creare prodotti di
alta qualità. È proprio questo il caso della Casa Vinicola D’Ambra, che nasce
nel 1888 per volere di Francesco, meglio conosciuto come “Don Ciccio”. Nato in
una famiglia di viticoltori locali, ancorché giovanissimo, si dedicò con zelo
al commercio del vino isolano, che nel corso degli anni, grazie alla
lungimiranza dei suoi discendenti (Mario, Michele e Salvatore), avrebbe conquistato
anche il Continente. Gli anni passano, ma resta comunque un’ingente tradizione
da preservare. Dopo la morte di Mario, le redini dell’azienda passano ai suoi
tre nipoti: Riccardo, Corrado e Andrea. Ed è proprio quest’ultimo che nel 2000
rileva la proprietà dell’azienda. Curiosi di conoscere da vicino i protagonisti
di questa avvincente avventura che attraversa oltre un secolo di storia,
abbiamo incontrato le figlie dell’enologo Andrea, Sara e Marina, che con grande
disponibilità hanno deciso di rispondere alle domande del nostro settimanale.
Oggi
(lunedì 16 settembre per chi legge) inizia la vendemmia: che cosa vi attendete
da questa annata?
«Lo
scorso anno, fino alla fine di ottobre, il clima è stato molto torrido. Le uve
hanno sofferto molto le alte temperature e l’annata ha registrato un deciso
calo. Discorso a parte va fatto per i
Frassitelli, che essendo una zona di montagna, hanno dato delle ottime uve
poiché le piante non hanno risentito del caldo. Riteniamo che quest’anno sia la
qualità che la quantità delle uve possano di gran lunga aumentare».
Ci
spiegate, in sintesi, secondo quali modalità si svolgerà il lavoro?
«L’uva
viene tagliata manualmente, anche perché è impossibile con le nostre pendenze
imporre una vendemmiatrice meccanica. Successivamente c’è l’arrivo immediato in
cantina e questo per preservarne l’integrità. Per quanto riguarda i bianchi si
passa ad una fase di pigiatura, seguita da una pressatura che deve essere lieve
soprattutto per i vini di qualità. In seguito alla suddivisione del mosto c’è
la fermentazione, preceduta da una fase di chiarifica. Si porta il mosto a
basse temperature per 5-6 giorni, affinché tutta la feccia si depositi sul
fondo. Questo processo ci consente di prelevare soltanto il mosto e porlo in
fermentazione in botti di acciaio inox. Il vino viene poi stabilizzato
attraverso una serie di travasi, che gli consentono di essere imbottigliato
verso febbraio-marzo».
Come
è possibile mantenere degli standard qualitativi elevati in un mercato sempre
più competitivo?
«La
qualità parte dall’attenzione che viene data alla vigna. Sta poi all’enologo,
”l’ ostetrico del vino”, tirar fuori il meglio dal prodotto. All’estero, più
che in Italia, c’è maggiore cura per alcuni valori che sono presenti nel vino,
come la solforosa che viene utilizzata in cantina».
Tradizione
e tecnologia possono conciliarsi? Se si, in quale misura?
«La
tecnologia, se sei bravo a sfruttarla, può aiutarti molto. Quest’anno ci siamo
dotati di un refrigeratore, che consente di monitorare meglio il lavoro e, di
conseguenza, di produrre un vino migliore. Se non se ne abusa, la tecnologia
tutela la tradizione più che alterarla».
Immagino
che sostenere economicamente una realtà come la vostra non sia affatto
semplice.
«La
crisi nel settore vinicolo si avverte, ma siamo riusciti a compensare questo
disagio con le vendite all’estero, che negli ultimi anni si sono intensificate».
Qual
è il prodotto che vi sta dando maggiori soddisfazioni?
«
Biancolella, Frassitelli, e Per e’ Palummo a pari merito».
Vostro
padre ha più volte affermato che oggi «bisogna investire nelle tradizioni
locali, puntando ad un turismo di qualità».
«Il
prodotto d’eccellenza richiama, di conseguenza, il turista di qualità, merce
purtroppo sempre più rara negli ultimi tempi». (fra.cas.)