lunedì 9 settembre 2013

A SCUOLA DI PRECARIATO

Tra poco meno di due settimane il suono della campanella sancirà l’inizio del nuovo anno scolastico. Un anno che, già prima di cominciare, presenta una serie di problemi che gli impediscono di decollare. Com’è ben noto, il settore scuola pubblica nel nostro paese è tra i meno valorizzati in assoluto, se escludiamo per un attimo l’impellente crisi del sistema sanitario. E poco importa che lo scorso 26 agosto il Consiglio dei Ministri presieduto da Enrico Letta abbia approvato il cosiddetto decreto “Salva Precari”: non sarà certamente un semplice «riordino dei contratti a termine del settore pubblico» a risolvere le spinose problematiche relative all’impiego nel mondo della scuola. Questa “riserva di concorso”, di cui tanto si parla negli ultimi giorni, garantirebbe a 50.000 precari “virtuosi” che risulteranno idonei di accedervi mediante bandi e concorsi pubblici. E intanto cresce di ora in ora l’esasperazione degli oltre 150.000 precari che, stufi delle proprie mediocri condizioni lavorative, già negli scorsi giorni hanno deciso di scendere in piazza per tutelare i propri diritti e gridare il proprio amaro dissenso. Volendoci riferire agli ultimi dati raccolti, circa il 20% del personale didattico (docenti, collaboratori e  tecnici) risulta impelagato nella procellosa tormenta del precariato. Il ministro della Pubblica Istruzione, Maria Chiara Carrozza, per far fronte alla sempre più deleteria ed intollerabile questione relativa all’occupazione nel comparto scuola, ha annunciato che nel prossimo triennio ci saranno 44.000 nuove assunzioni “di ruolo”. A guidare con maggior vigore e determinazione la protesta contro i tagli orizzontali promossi dagli ultimi esecutivi che hanno amministrato il Belpaese sono i docenti del coordinamento romagnolo che, in un eloquente comunicato stampa diffuso nelle scorse ore, fanno sapere che se lo Stato dovesse decidere di non perseguire le istanze volte ad un sostanziale rinnovamento del settore scuola, saranno costretti ad attuare «una politica di non collaborazione: non compiremo, cioè, tutte quelle attività non previste dal contratto nazionale […] come il ricevimento settimanale con i genitori, la sostituzione dei colleghi assenti, il coordinamento di classe o le uscite didattiche. Lo Stato ci usa come cavie, come banco di prova per togliere diritti ai lavoratori. Ma se ora non ci restituisce i nostri – si legge nella nota – metteremo di fingere di averli. Cominceremo con la manifestazione del 4 e poi vedremo. Noi abbiamo scelto questo mestiere e continueremo con ogni mezzo lecito a nostra disposizione, a difenderlo». Nella Capitale, intanto, aumentano i fermenti, con gli insegnanti del Coordinamento Precari Scuola di Roma che il prossimo 4 settembre, alle ore 15.00, attuerà un presidio in via Panciani «[…] dobbiamo dimostrare con la nostra presenza e la nostra determinazione nelle lotte che ogni anno lo Stato stipula con noi precari più di 100.000 contratti a tempo determinato e che, quindi, noi siamo essenziali alla scuola, che senza di noi le scuole non funzionano […]. Se non vogliamo essere prima oscurati e poi usati e gettati da uno Stato che dimostra di non avere alcun interesse né per la nostra dignità né per il nostro lavoro, né tantomeno per le sorti dell’istruzione pubblica, dobbiamo farci sentire con forza […]». In Campania il “quadro clinico” della scuola pubblica italiana si fa sempre più preoccupante: al dilagante fenomeno dell’assenteismo scolastico, infatti, si accompagna anche quello relativo all’edilizia scolastica, sempre più carente anche nel resto del Mezzogiorno. Si preannuncia un autunno caldissimo, con manifestazioni e sit-in che stimoleranno anche quest’anno “l’inizio delle ostilità” tra studenti, docenti e collaboratori scolastici da un lato e Governo dall’altro, sperando che qualcosa possa finalmente cambiare. E mai come in questi casi vale la frase, divenuta quasi proverbiale, che Aiello Raffaele, il disincantato ragazzino protagonista del best seller di Marcello D’Orta, scrive alla fine del suo tema: «Io speriamo che me la cavo». Francesco Castaldi

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