Quello della
disoccupazione, negli ultimi anni, rappresenta uno dei temi più dibattuti
dall’opinione pubblica. La crisi economica che ha coinvolto l’Europa ha
determinato una grave fase involutiva dalla quale i paesi del Vecchio
Continente starebbero pian piano uscendo. Il punto cruciale di questa complessa
materia riguarda l’occupazione giovanile. In particolar modo di coloro che,
dopo aver conseguito il titolo universitario, hanno non poche difficoltà nel
trovare un lavoro coerente col percorso di studi affrontato. Molti ragazzi,
temendo per il futuro e non intravedendo alcuna possibilità d’essere inseriti
nel settore di propria competenza, decidono di lasciare il Bel paese nel
tentativo di trovare maggiore fortuna all’estero. La “fuga dei cervelli” è la diretta
conseguenza di un clima di profonda indifferenza nei confronti dei
neo-laureati, le cui mortificate potenzialità vengono invece esaltate nei
centri di ricerca europei e d’oltreoceano, che fondano sul merito la propria
scala di valutazione. I più capaci andranno avanti a studiare, per poi raggiungere
risultati ragguardevoli in ogni settore.
Negli ultimi anni, a causa della parabola discendente assunta dalle
riforme della scuola pubblica, numerosi sono stati i tagli – spesso
indiscriminati e orizzontali – effettuati ai danni delle Università e del
comparto scuola pubblica da parte di taluni esecutivi, che hanno ritenuto dover
umiliare il comparto scuola per far respirare il paese. A questo punto
bisognerebbe chiedersi se sia lecito definire libero e democratico uno Stato
che limita, di fatto, se stesso sotto la spinta delle nuove generazioni. Nell’attesa
che le nostre istituzioni possano ravvedersi e decidere di investire maggiori
risorse nella cultura della vita piuttosto che in quella della morte (è
quantomeno paradossale che lo Stato italiano sperperi del denaro pubblico per
acquistare gli F-35 e che poi non sia in grado di sovvenzionare il lavoro dei
ricercatori) passiamo ora ad una più attenta analisi dei dati relativi
all’occupazione giovanile nel nostro paese. Riferendoci a quanto riportato dal
quotidiano economico “Il Sole 24 ORE”, possiamo affermare con buona
approssimazione che il 41,5% dei laureati di primo livello decide di affrontare
la specialistica e che, inoltre, parte di essi (29,4%), ad un anno dal
conseguimento della laurea, risulta già inserito nel mondo del lavoro,
percependo una media di 955 euro al mese. Il trend migliora notevolmente quando
si analizzano i dati riguardanti i laureati specialistici: il 56,8%, dopo circa
un anno, guadagna in media 1088 euro mensili. Nel giro di tre anni, inoltre,
non soltanto si registrano degli incrementi occupazionali (74,1%), ma
addirittura il contenuto della busta paga lievita cospicuamente (lo stipendio
si aggira in media attorno ai 1261 euro al mese). Qualche difficoltà iniziale
potrebbero incontrare i laureati in giurisprudenza e medicina, che una volta
conseguito il titolo accademico dovranno prima vedersela con le attività di formazione
post lauream. Francesco Castaldi
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